A TMW Radio è arrivato il momento di un'altra storia di calcio, quella di uno dei iù grandi numeri 10 di sempre, Michel Platini. La sua carriera parla da sola: tra il 1983 e il 1985 ha vinto consecutivamente tre Palloni d'oro assegnati da France Football e viene considerato da numerosi addetti ai lavori come il più rappresentativo giocatore francese del Novecento. Inoltre occupa la 5ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dalla rivista World Soccer e la 7ª posizione nell'omonima lista stilata dall'IFFHS.
"Un giocatore di una eleganza e velocità di pensiero pazzesco. Ero un ragazzino quando arrivai alla Juventus, mi sono divertito tanto perché ho avuto un compagno eccezionale, dentro e fuori dal campo. Cercavo di imparare il più possibile da lui, a partire dalle punizioni. Difficile però rubargli la grande classe che aveva Michel. Era veramente geniale, sotto tanti aspetti", il commento di Giuseppe Galderisi. Mentre Domenico Marocchino ha aggiunto: "Noi eravamo suoi sudditi, visto che lui era Le Roi, aveva una classe immensa. E poi è un uomo e una persone intelligente, simpatica, arguta. Un grande uomo e un grandissimo giocatore. Grandissimo e inimitabile".
"Platini ha rappresentato la classe, lo stile, l'eleganza, è stato un autentico fenomeno calcistico ma anche di costume - il parere del direttore Xavier Jacobelli -. La Juve lo soffiò all'Inter e ha lasciato un'impronta indelebile nella storia di quel periodo. Il più grande numero 10 della storia della Juve? Difficile dirlo, perché ci sono Baggio, Del Piero, Sivori. Di sicuro è stato tra i più grandi. Ha incarnato il calcio, chi ama l'eleganza, lo stile, non poteva non amare Platini. Al di là del tifo". Antonio Paolino, direttore di Radio Bianconera, ha aggiunto: "Per me che ero un ragazzino all'epoca era qualcosa di diverso rispetto a quello che offriva allora la Serie A. La precisione, l'arte, era qualcosa che cercavi di ripetere su un campetto con gli amici, Platini con la sua ironia sapeva di parlarti dall'alto verso il basso, ma non era arroganza o presunzione, era consapevolezza di saper fare qualcosa di più degli altri".