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Pisani: "Boicottaggio NBA, giusto riprendere ma è l'inizio del cambiamento"
27 ago 2020 19:40Basket
© foto di Daniele Buffa/Image Sport

Zeno Pisani, manager italiano residente negli Stati Uniti, è intervenuto in diretta a TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini, approfondendo il tema del boicottaggio negli sport statunitensi iniziato dall'NBA, e in particolare dai Milwaukee Bucks, dopo il caso Jacob Blake: "Bisogna fare una distinzione chiara, per chi non vive questa realtà è difficile capire quanto forte sia questo problema, e quanta discriminazione delle forze dell'ordine, soprattutto della polizia, ci siano verso gli afro-americani, verso i musulmani, verso i latini: c'è una base razzista in America, e questo tema è l'attualità. La generazione che riteneva che bianchi e neri non potessero andare allo stesso ristorante è ancora in vita... La protesta non è saltata fuori dal nulla, se non per le tempistiche. La decisione di Milwaukee, in solitaria e trascinati dall'emozione del momento, ha anche lasciato molto malcontento nella Lega, che prima voleva una riunione. Ma il malcontento nasce anche da altro. Un ragazzo bianco di 17 anni, armato di AK-15, è andato in Illinois ed ha sparato contro la folla. Si vedono video della polizia che lo lascia andar via dopo che ha sparato... Queste sono cose che a parte invertite non sarebbero mai successe: l'insoddisfazione della comunità afro-americana è crescente, in un clima costante di razzismo favorito dalla presidenza. Trump ha legittimato questo clima razzista verso le minoranze, scatenando una cosa senza precedenti. Non a caso il ragazzino di ieri armato fino ai denti di cui raccontavo era Trump-supporter e amante delle forze dell'ordine".

Cosa può portare un atto del genere? "Questa non è una protesta politica, ma per il razzismo. E deve essere la base, visto che leggendo articoli della stampa estera è come se si confondessero le due cose, mentre sono ben distinte. La NBA è una lega composta al 90% da afro-americani, ed è ovvio che il principale sentimento è di protesta contro questa presidenza. L'onda di dire stop è enorme, ha preso tutti in America tranne la NHL, che è lega bianca. Tutte le altre sì, pure il tennis. C'è un problema di cui parla tutto il mondo. Ieri sera ho avuto la fortuna di parlare con un paio di giocatori NBA che conosco, e la cosa dei Clippers e dei Lakers che volevano uscirsene è stata mal interpretata. Se non ci sarà seguito, però, la cosa rischia di cadere nel vuoto, rimarrà solamente un grande gesto isolato. Giusto che sia la NBA a guidare questo cambiamento, ci sono personaggi che abbracciano ogni etnia. Quando parla LeBron James, poi, tutti lo ascoltano. Il malcontento è nato solo perché Milwaukee ha fatto questo senza avvisare gli altri. Infatti poco dopo si sono scusati".

Si può dire che, almeno in Nord America, nel campo dello sport e dei diritti sociali nulla sarà lo stesso? "Sicuramente è un primo passo verso il cambiamento, non puoi farlo dall'oggi al domani. Io vivo la realtà americana da 25 anni, da bianco e privilegiato, ma mi rendo conto di quanto grande sia il gap verso le minoranze, e chi è discriminato. La cosa di Blake a un bianco non sarebbe mai successa, al 100%. Ora i giocatori devono aprire gli occhi agli americani, aprire la strada e portare i messaggi ai loro figli. Negli anni Settanta la casa di Doc Rivers, coach dei Clippers, è stata bruciata per motivi razziali: lui è stato tra i più colpiti personalmente su questo tema, e le sue parole sono state le più belle. Ora l'NBA riprende e non sarebbe potuto essere altrimenti, sennò si inficiava la prossima stagione e sarebbero partite cause infinite. Il messaggio, però, è arrivato forte e chiaro. Non a caso tutti hanno ricordato la protesta sul podio di Città del Messico alle Olimpiadi. Un altro momento in cui lo sport ha voluto dire basta".

Si parla meno del Coronavirus? "A Los Angeles i numeri sono ancora alti. Il grande problema è che si è passati a una fase due con un messaggio politico che non ha invitato all'attenzione, anzi, ha incoraggiato la riapertura senza mettersi la maschera. Totalmente sbagliato: per l'americano medio è significato come un tana libera tutti. Con la conseguenza che dopo due-tre settimane eravamo al punto di prima, anzi peggio. Il mese scorso abbiamo avuto numeri più alti rispetto al lockdown, forse anche perché la fase due è coincisa con la protesta a seguito dell'episodio di Minneapolis con George Floyd. Abbiamo dovuto correre ai ripari e dopo poco hanno richiuso palestre, discoteche, bar, i ristoranti ora possono servire solo all'aperto... Siamo sempre nella stessa situazione, seppure il numero dei ricoverati sia più basso. I contagi sono ancora alti, anche se si muore di meno. Ci sono stati come Florida, Texas ed Arizona che, guarda caso i primi ad affrettare la riapertura, che hanno avuto momenti di picchi irreali e situazioni sanitarie difficili da gestire. Si va verso una nuova normalità ma rispetto all'Italia non siamo messi bene, e ci sono conseguenze pure nell'economia: è tutto fermo. Lavoro nell'intrattenimento, e Hollywood è ferma da marzo, non si gira niente. Speriamo almeno di riprendere al primo ottobre. Los Angeles vive e respira grazie all'industria del cinema, capite la portata devastante...".

La lotta si è trasformata in un mero distinguo politico? "Certo. Trump ha sdoganato e fatto emergere l'America razzista, e dobbiamo renderci conto che è la maggioranza. Con Obama magari certe cose rimanevano sotto le foglie, mentre Trump di fatto le ha legalizzate. Tutti si sentono liberi di esprimere il proprio odio verso le minoranze. Siamo a due mesi dalle elezioni e credo saranno le più importanti nella storia degli Stati Uniti: il clima è pesante, non ci sono mai stati così tanti episodi di razzismo. Dal punto di vista civico è una nazione in difficoltà e molto divisa".

Qual è il ruolo dei giocatori bianchi in NBA? "C'è una parte che è presente: LeBron aveva detto che i neutrali non sarebbero esistiti, o con noi o contro di noi. Lui è il capo, e quando parla gli altri lo ascoltano. Già la sera in cui era stato ucciso Floyd aveva fatto un appello: chi stava zitto era perché non supportava la causa. Gli italiani come Belinelli e Gallinari hanno indossato maglie speciali: sono qua da oltre 10 anni, sanno come vanno le cose, hanno visto e sentito storie di compagni maltrattati o comunque di amici colpiti dalla polizia. C'è grande sensibilità e fratellanza, è una scuola dove sono tutti amici, e l'unione in questo caso fa la forza, bianchi e neri sono tutti dalla stessa parte, seppure per questi ultimi sia questione di vita. Non c'è distacco tra le parti".

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Zeno Pisani intervistato da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini © registrazione di TMW Radio